C'è qualcosa di patetico nell'antisemitismo contemporaneo, quello che porta folle in piazza per la festa dei lavoratori a travestire Hava Nagila da inno pro palestinese, quello che induce i militanti della sacrosanta guerra per salvare dallo scempio la natura a ignorare la devastazione doppia, fisica e morale, che porta su questa terra la distruzione delle foreste di Gerusalemme. Violenta una canzone che è storicamente l'inno sionista al ritorno in Israele, il cui testo invita gli ebrei alla gioia dopo tanto soffrire, che è stata usata milioni di volte per festeggiare la vittoria del ritorno a casa nella guerra, nella fame, nell'eroismo, e la fa diventare palestinese: «Free palestine», fanno urlare su quelle note a una folla così arruolata nelle file dell'ignoranza, delle cifre inventate da Hamas, nel messaggio di odio contro Israele: i palestinesi diventano così gli ebrei, gli oppressi, mentre gli ebrei sono gli oppressori. È diverso da allora, per fortuna: l'esistenza dello Stato del popolo ebraico, lo stato d'Israele, che insieme alla democrazia e all'esercito ha cresciuto anche le più belle foreste che mai il Medio Oriente abbia visto, le più folte e verdeggianti, un regalo al clima mondiale cui oggi le masse si appassionano, per cui protestano e esclamano: sempre, fuorché quando gli alberi sono quelli dello Stato ebraico.
Author: redazione@ilgiornale-web.it (Fiamma Nirenstein)
Published at: 2025-05-03 08:00:03
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