Oppure si sgretolano clamorosamente, lasciandoti nel mezzo di una vera e propria palude di incertezza su quello che sei e quello che vuoi, facendoti inevitabilmente sentire “già vecchio” e irrisolto a venticinque anni (è il destino peraltro di moltissime biografie di artisti, letterati, intellettuali: entrare in università attraverso la porta di una facoltà, poi uscirne a metà per aprirne altre, di altre aule, per ascoltare la parola di altri docenti e trovare finalmente i propri maestri e la propria vera vocazione). Però le aule di via Zamboni, la Libreria Nanni sotto il Portico della Morte, certe lunghe lunghissime passeggiate infittite di discettazioni, l’amore viscerale e anche un po’ snob degli studenti “migliori” per Contini oltre che per Longhi – e soprattutto i sogni di una creatività futura, della vita adulta come un grande campo pieno di opportunità nel quale mettersi alla prova da scrittori, poeti, registi (sogno o piuttosto illusione), in fondo non erano poi tanto cambiati. Quando Gianfranco Contini nel 1973 pubblica in un unico volume un’antologia degli scritti di Longhi dal titolo Da Cimabue a Morandi, Pier Paolo Pasolini saluta l’evento come «l’avvenimento culturale dell’anno» e ripercorre nella memoria gli anni in cui, giovanissimo studente universitario, seguiva le lezioni del docente di storia dell’arte medievale e moderna, rievocando la sostanza di quell’incontro in termini quasi mitici: «Se penso alla piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro la cattedra) in cui nel 1938-39 (o nel 1939-40) ho seguito i corsi bolognesi di Roberto Longhi, mi sembra di pensare a un’isola deserta, nel cuore di una notte senza più luce.
Author: Redazione FqMagazine
Published at: 2025-12-03 11:17:54
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