Sul piano economico, per esempio, si possono monitorare le attività industriali che nei diversi distretti contribuiscono alla produzione, diretta o indiretta, di armi e sostenerne i percorsi di riconversione civile – ostacolandone quelli contrari – con l’istituzione di peace list virtuose e premianti; istituire fondi locali, di concerto con i sindacati, per supportare i lavoratori che decidessero di fare obiezione di coscienza all’industria bellica; adottare codici etici war free per gli appalti pubblici, le sponsorizzazioni e le collaborazioni, sotto qualunque forma. Per citarne solo alcune: sottoscrivere protocolli con gli Uffici scolastici regionali per arginare il processo di militarizzazione della formazione e, invece, promuovere e finanziare percorsi di educazione alla pace nelle scuole di ogni ordine e grado e di formazione alla nonviolenza per gli insegnanti; organizzare nei luoghi della memoria tragica della guerra del nostro Paese – da Monte Sole a Sant’Anna di Stazzema – soggiorni estivi di training per la risoluzione nonviolenta dei conflitti con gruppi misti di ragazzi provenienti dai paesi in guerra. Infine, contribuire a costituire corridoi umanitari per i profughi dai paesi in guerra e strumenti di protezione delle vittime, prevedere percorsi di supporto nell’accoglienza dei rifugiati che ne portano il trauma, favorire nei territori esperienze di dialogo tra comunità originarie da paesi in conflitto armato e adoperarsi per il riconoscimento dello status di rifugiati ad obiettori di coscienza e disertori di tutti i fronti.
Author: Pasquale Pugliese
Published at: 2025-06-07 06:02:40
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