Per questo non mi ha sorpresa la (brutta) decisione assunta dalla Suprema Corte che ha confermato la dicitura ‘genitori’, al posto di ‘padre’ e ‘madre’ sulla Carta d’identità elettronica dei e delle minori, rigettando il ricorso del governo dopo la richiesta di una coppia di donne ai giudici per ottenere sui documenti del figlio la corretta indicazione, e non ‘padre’ per una delle due madri. Per oltre 30 anni si è penato per poter aggiungere – aggiungere, non sostituire – il cognome della madre a quello, scontato, del padre; per decenni, e non è ancora ovvio sebbene la grammatica lo preveda, si è detto dell’importanza di nominare la differenza sessuale nelle professioni dove le donne prima erano escluse, e in virtù di questa negazione ancora molte, tra le donne, non si nominano come avvocate, magistrate, architette, ingegnere, perché “quello che conta è il ruolo”. Se nelle spinte alla conservazione dei ruoli e delle funzioni c’è la paura del cambiamento, e i regimi fondamentalisti cristallizzano le donne e gli uomini nelle gabbie degli stereotipi funzionali alla discriminazione, a me pare che in chi pensa che la cancellazione della madre sia una vittoria e un trionfo della molteplicità (madre non è, però, solo una parola) ci sia uno scivolamento tragico e pericoloso verso l’esatto opposto dell’apertura e della disponibilità a modificare l’esistente.
Author: Monica Lanfranco
Published at: 2025-04-14 12:44:25
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