Si tratta di un passaggio, come dire, graduale, nel senso che invece di essere il reportage nudo e crudo di un inviato sul fronte bellico, nella fattispecie il conflitto dei Balcani, è il racconto in terza persona delle esperienze di due colleghi, un operatore, Marquez e l'inviato di un canale televisivo, Barles, entrambi spagnoli e entrambi più o meno alter ego dell'autore, trasformandoli così nei protagonisti di un romanzo-verità il cui tema non è tanto il racconto e/o il resoconto di una guerra, ma il perché di una professione o, se si vuole, di una vocazione, le motivazioni più o meno inconsce, più o meno mascherate, che spingono un giornalista su un campo di battaglia, testimone disarmato quanto consapevole che quel suo essere al di fuori e al di sopra della mischia sanguinosa oggetto dei suoi reportage, non lo metta però al riparto dal pericolo, ovvero dal rischio di lasciarci la pelle. Il gergo, dicevamo, che è tutt'uno con quelle che sono le caratteristiche di una sorta di tribù dell'informazione: gli alberghi, per esempio, dove la tribù ha i propri accampamenti, il modo di vestire, di esprimersi, quello di bere, la solidarietà fra colleghi e insieme però lo spirito di emulazione e la voglia di primeggiare, gli amori, naturalmente, che quasi mai sopravvivono oltre il luogo e il tempo in cui si manifestano, e le esistenze normali, moglie, figli, routine lavorativa, che quasi mai riescono a resistere a petto dell'eccezionalità con cui vengono messe a confronto. Si può naturalmente mettere in primo piano l'informazione, ovvero il diritto, il dovere e il compito di far conoscere ciò che avviene, pur con tutte le limitazioni che ogni teatro di guerra comporta, la consapevolezza che solo «la verità di un istante» è quella che si può catturare e/o testimoniare, e che dietro ogni immagine c'è sempre in agguato il voyeurismo dell'immagine, così così come dietro ogni testo scritto c'è sempre una retorica vogliosa di supportarlo.
Author: redazione@ilgiornale-web.it (Stenio Solinas)
Published at: 2025-04-01 06:35:39
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