Ormai le critiche di Draghi all’Unione Europea sono un genere letterario

Ormai le critiche di Draghi all’Unione Europea sono un genere letterario


Dal suo punto di vista, si tratta di una critica che va intesa in senso costruttivo: segnalare le mancanze dell’Unione è un modo per ribadire l’urgenza delle riforme, per spronare l’Europa a non accontentarsi di esistere e di celebrare le proprie conquiste del passato, ma a rendersi pronta per affrontare le questioni del presente e del futuro. Da emblema globale dell’europeismo, Draghi è anche uno dei più acuti critici dell’Unione; da uomo delle istituzioni europee, se la prende spesso con le storture burocratiche e normative di quelle istituzioni; da tecnico che ha un rapporto piuttosto diffidente con la politica, si augura con convinzione che l’Unione diventi più politica e meno tecnocratica; da banchiere austero percepito come un esponente del cosiddetto “establishment di Bruxelles”, è un fautore, soprattutto negli ultimi tempi, di un maggiore intervento pubblico dell’Unione nell’orientare e favorire gli investimenti virtuosi nel continente. Ciascun partito o corrente di pensiero esalta alcuni aspetti dei suoi discorsi, ignorandone altri: la destra sovranista elogia il Draghi censore delle storture burocratiche europee, tralasciando che la premessa indispensabile per l’Europa più politica di cui parla Draghi è un’ulteriore cessione di sovranità da parte dei singoli Stati nazionali, cioè la negazione di molte delle convinzioni dei sovranisti; la sinistra apprezza il Draghi keynesiano, cioè che chiede investimenti pubblici, ma Draghi chiede anche di discernere tra «debito buono» e «debito cattivo», e cioè di evitare spese assistenziali improduttive o bonus vari per privilegiare investimenti improntati a una maggiore produttività.


Published at: 2025-08-25 16:16:53

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