Migranti in Albania, uno già rientrato: non andava trasferito. Tra quelli rimasti c’è chi ha figli italiani

Migranti in Albania, uno già rientrato: non andava trasferito. Tra quelli rimasti c’è chi ha figli italiani


Qualunque cosa intenda il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi con “pratica normalissima”, quanto accaduto pare disattendere le stesse direttive ministeriali (che citano quelle comunitarie) che non consentono la coercizione come misura preventiva, ma solo in caso di opposizione al rimpatrio del singolo individuo, fatti salvi i principi di necessità e proporzionalità e non per l’intero tempo del trasferimento. “A quanto riferito dai miei quattro assistiti, alla partenza da Brindisi non ci sarebbe stata alcuna ribellione, nessuna opposizione nonostante la totale mancanza di informazioni su quanto stesse accadendo, compresa la destinazione”, racconta al Fatto l’avvocata Rosa Guerra del foro di Bari, che si trovava in Albania per ragioni personali quando è stata contattata dal gestore del centro di Gjader a nome di quattro suoi assistiti, fino ad allora trattenuti nel cpr di Bari. Cosa che avviene anche coi trasferimenti tra cpr in Italia, ma che qui va letta con l’aggravante delle altre criticità: impossibilità a ricevere visite, tutela della salute non equivalente, minori possibilità di accesso a informazioni e tutela legale, e ostacoli alla richiesta di asilo; modalità di convalida del trattenimento a distanza che limitano l’effettività dei colloqui con il difensore, e difficoltà eccessive nel proporre ricorso per Cassazione dall’Albania; dubbia conformità con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con la Direttiva Ue 115/2008 sui rimpatri, per quanto riguarda l’applicazione extraterritoriale e la concreta esercitabilità delle garanzie previste.

Author: Franz Baraggino


Published at: 2025-04-14 15:26:44

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