Da un lato, infatti, il governo tenta di ribadire una prassi diplomatica consolidata nei decenni che vede l’Italia come un paese particolarmente disposto al dialogo e alla mediazione con i paesi arabi e col regime iraniano: durante il rapimento della giornalista Cecilia Sala, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli disse candidamente, in un’intervista a Repubblica, che «in Occidente siamo quelli che hanno rapporti migliori con l’Iran» (non è esattamente così, ma all’Italia da tempo piace raccontarlo per accreditarsi). Nel 2003 i governi di Francia, Germania e Regno Unito cercarono di stabilire relazioni diplomatiche con l’Iran che non contemplassero il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti: alla base c’era l’interesse a raggiungere un accordo sul programma nucleare iraniano, dopo che, nel 2002, erano emerse notizie solide della realizzazione di alcuni impianti per l’arricchimento dell’uranio (a Natanz) e per la realizzazione di bombe al plutonio (ad Arak). C’è il ministro delle Imprese Adolfo Urso, accusato più volte di essere troppo vicino al regime iraniano per via di una sua ex azienda che forniva consulenze alle imprese che volevano investire in Iran; e c’è il presidente della commissione Esteri del Senato Giulio Terzi di Sant’Agata, uno che da ambasciatore a Tel Aviv, da consigliere politico del ministro degli Esteri Gianfranco Fini, e poi da ministro degli Esteri nel governo di Mario Monti, ha sempre avuto una posizione di ferma condanna del regime iraniano.
Published at: 2025-06-24 12:15:36
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