Eppure, è esattamente questo che accadde nella seconda metà del secolo scorso a Fabergé, il marchio di gioielli celebre per le preziosissime uova amate dagli zar, e che di recente è stato ceduto per 50 milioni di dollari dall’ultimo dei suoi numerosi proprietari, la compagnia mineraria Gemfields, a un fondo di venture capital statunitense, solo l’ultima puntata della sua storia, lunga, perlopiù gloriosa, a tratti triste e per certi versi bizzarra. Non tutte le grandi maison di gioielli hanno avuto infatti una vicenda lineare e coerente: Cartier, Bulgari, Damiani, ma anche Chaumet e Van Cleef & Arpels sono restate spesso a lungo nelle mani della famiglia fondatrice – alcune ancora lo sono, come nel caso della maison di Valenza - per poi passare ai grandi gruppi del lusso come Lvmh, Richemont (che con gioielli e orologi ha costruito il cuore pulsante del suo portafoglio) e in misura minore Kering. Si può dire che i Fabergé avessero il viaggio, lo spostamento, nel dna, da quando l’originaria famiglia di ugonotti alla fine del Seicento fu costretta a lasciare la Francia, dopo la revoca dell’Editto di Nantes con cui Enrico IV aveva garantito libertà di culto ai protestanti.
Author: di Chiara Beghelli
Published at: 2025-08-26 13:19:14
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