La dichiarazione va accolta con un certo sarcasmo, se è vero che, secondo l’UNHCR, degli oltre 841.922 rifugiati e richiedenti asilo registrati, tra cui molti Sudanesi in fuga dalla guerra civile, le autorità egiziane ne avrebbero arrestati arbitrariamente ed espulsi illegalmente migliaia, violando il principio di non-refoulement stabilito a Ginevra, l’accesso alle scuole pubbliche per i bambini rifugiati resterebbe un miraggio, le forze di sicurezza avrebbero continuato a esigere da ogni migrante un garante egiziano e il pagamento di 1000 dollari per la regolarizzazione, e per finire la nuova legge sull’asilo, fresca di stampa, sarebbe priva di garanzie di un giusto processo e consentirebbe la detenzione arbitraria di rifugiati e richiedenti asilo, come denunciato da Amnesty International. È chiaro che il successo della leadership di al-Sisi sia da cercarsi altrove: non nella sua performance economica, che nonostante gli ingenti sforzi e tagli imposti alla popolazione e l’alto volume di investimenti esteri, rimane prigioniera del conglomerato militare, che controllo tra il 25 e il 40% dell’economia egiziana tarpandone il potenziale, né nella sua capacità di governance democratica, dati i pessimi risultati conseguiti dal “dialogo nazionale” e sui diritti umani, ma nella sua stabilità di governo, che al-Sisi sembra assicurare con pugno di ferro, nel suo ruolo di stabilizzazione del conflitto a Gaza, celebrato al vertice di pace di Sharm el-Sheikh dello scorso 13 ottobre, e in quello di bastione anti-immigrazione e anti-fratelli musulmani, che garantisce all’Occidente di fare parte del “lavoro sporco” per lui (non è un caso che le migrazioni si siano ridotte del 22% nell’ultimo anno). Difronte a ciò, è prevedibile che l’Egitto, a dispetto di tutti i film di denuncia come “The Eagles of the Republic” di Tarek Saleh, giustamente acclamato a Cannes, la cui visione fa letteralmente venire i brividi perché denuncia con ironia e franchezza tutta la brutalità del regime egiziano e la sua velleità di soffocare ogni barlume di protesta, continui ad essere celebrato come un “paese arabo moderato” in Europa, per cui esso coincide con le spiagge di Sharm el-Sheikh, ottimi investimenti in energia e sicurezza e le piramidi, per i più colti.
Author: Diwan
Published at: 2025-11-07 06:29:48
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