Certo, nel cartellone figurano cinque titoli che affrontano direttamente i conflitti: The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, testimonianza brutale di una bambina palestinese intrappolata a Gaza; A House of Dynamite di Kathryn Bigelow, thriller che mette in scena il timore della bomba atomica; The Wizard of the Kremlin di Olivier Assayas, ritratto di potere e guerra ideologica attraverso la parabola putiniana; Orphan di László Nemes, che riporta alla rivolta ungherese del 1956 filtrata dagli occhi di un bambino; e infine Lo straniero di François Ozon, che traduce Camus in chiave esistenziale e coloniale. Ma chiedere di zittire un attore israeliano, o anche solo di escludere chi non si schiera secondo i canoni di una parte, equivale a introdurre nel cinema un meccanismo di censura che nulla ha a che fare con la libertà dell'arte. Tra star in abito da sera e manifestanti con cartelli, tra riflettori e cori di protesta, Venezia offrirà ancora una volta lo spettacolo della nostra epoca: l'impossibilità di separare l'arte dalla politica, la tentazione di ridurre tutto a schieramento.
Author: redazione@ilgiornale-web.it (Alessandro Gnocchi)
Published at: 2025-08-27 03:00:03
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