Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito della prova del Dna

Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito della prova del Dna


L’incidente probatorio, che ha per oggetto le tracce genetiche rinvenute in zona ungueale (o subungueale) delle dita delle mani destra e sinistra della vittima, ha offerto un risultato che, a detta dei media ma anche di molti esperti, lascia aperta ogni interpretazione: da un lato questa porzione biologica può essere letta come “l’impronta” dell’assassino; dall’altro essa non sarebbe nulla più di una presenza casuale e dovuta a un contatto fortuito tra la (futura) vittima e un oggetto, presente nell’appartamento, precedentemente “contaminato” da un soggetto che nulla ha a che fare con la scena del crimine. Ecco dunque come nasce il dibattito attuale che vede confrontarsi, su piani contrapposti, coloro che assumono che non sia pensabile attribuire a ragioni accidentali un dato così psicologicamente forte e coloro che, al contrario, sottolineano come questa casualità sia tutt’altro che anomala qualora il titolare di quella traccia sia un frequentatore di luoghi che, in seguito, divengono il teatro di un delitto. A supporto della prima interpretazione milita poi la circostanza che, in assenza di una presenza accertata di materiale biologico del “contaminatore”, detto assunto diverrebbe una pura ipotesi indimostrata e indimostrabile; sul fronte opposto, gli interpreti contrari sostengono che il Dna si conserva assai a lungo sugli oggetti e dunque la contaminazione sia un fatto che accade costantemente e la cui anomalia non deve stupire per nulla.

Author: Luca D'Auria


Published at: 2025-12-14 06:25:18

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