Come il governo vuole far rientrare il ponte sullo Stretto nelle spese militari

Come il governo vuole far rientrare il ponte sullo Stretto nelle spese militari


Venerdì scorso per la prima volta il governo ha ammesso pubblicamente di voler inserire i costi del ponte sullo Stretto di Messina – almeno 13,5 miliardi di euro – nell’accordo firmato alla fine di giugno dai paesi della NATO per alzare al 5 per cento del Prodotto interno lordo (PIL) la propria spesa militare entro il 2035. L’obiettivo di spesa fino al 5 per cento del PIL è graduale nel tempo e soprattutto si compone di due voci: un 3,5 per cento di spese per la difesa, cioè per gli armamenti, i soldati e in generale per il personale dell’esercito; e un 1,5 per cento di spese per la sicurezza, cioè le infrastrutture come porti e ferrovie che in caso di guerra potrebbero essere usate dalle forze armate, gli investimenti in sicurezza informatica, l’installazione di cavi sottomarini per il passaggio di energia, gas o dati, e persino la gestione dell’immigrazione. «In questa cornice, con questa logica, anche il ponte sullo Stretto potrebbe essere considerato un’infrastruttura coerente con le linee guida NATO ed europee in tema di sicurezza integrata e mobilità strategica», ha detto Prisco, che ha usato quasi solo verbi al condizionale e ha riferito in modo generico di confronti tra il governo italiano e l’Europa, anche se Bonelli aveva chiesto in modo diretto se il ponte fosse stato inserito nel piano Military Mobility dell’Unione Europea.


Published at: 2025-07-07 12:43:25

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