Eppure l’argomentazione di Mantovano è netta: “La presenza di richieste concorrenti (quella della Cpi e appunto quella libica, ndr) e la complessità delle valutazioni affidate al ministro della Giustizia erano ontologicamente incompatibili con qualsiasi ipotesi di obbligo immediato – che comunque non esisteva – di trasmettere i documenti al Procuratore generale della Corte d’appello”, si legge in grassetto nel documento del governo. Gli altri sono quelli noti, già dichiarati da Nordio in Parlamento: Mantovano definisce “autonome ed esclusive” le “valutazioni della Corte d’appello di Roma” che scarcerò Almasri; ricorda le asserite “incongruenze” sulle date iniziali dei reati contestati al generale libico, che in alcuni passaggi del mandato d’arresto risalgono al 2011 e non al 2015, spiegando che l’Italia non attivò la procedura di “consultazione” con la Cpi prevista dallo Statuto, “non per sottrarsi ai suoi obblighi” ma per le “particolari circostanze” del caso; rivendica la scelta di espellere Almasri, che infatti non fu “estradato” in Libia, per via della sua “pericolosità”. Su questa base il governo chiede alla Corte di “stabilire che l’Italia non ha mancato di adempiere al proprio obbligo di cooperare, avendo invece dovuto salvaguardare i propri interessi di sicurezza nazionale” e “di conseguenza astenersi dal rinviare la questione all’Assemblea degli Stati Parte” della Cpi “o al Consiglio di sicurezza” dell’Onu.
Author: Alessandro Mantovani
Published at: 2025-05-17 07:30:45
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